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Gianni Gallian

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Orizzonti

La corda è il disegno, il resto è colore.

   L’orizzonte è una linea apparente che separa la terra dal cielo, una linea che divide tutte le direzioni visibili in due categorie: quelle che intersecano la superfice terreste e quelle che non la intersecano. Il mio interesse, sia figurativo che concettuale è per l’orizzonte vero, non oscurato, quello visibile che delimita. Per un artista, di espressione e di linguaggio più o meno complicato, la semplicità non è mai immediata ma si raggiunge per gradi. Nel mondo dell’arte figurativa molti autori aggiungono, per vedere di più, altri tolgono, non per vedere di meno ma per pensare a vedere di più, dunque una sorta di meditazione sia per l’artista e per chi ne fruisce dell’immagine dove vi è l’essenziale. Ebbene, arrivando all’estremo, in una estrema semplicità, cosa c’è di più semplice della rappresentazione di un orizzonte dove l’orizzonte ha la consapevolezza della linea, e di essere una linea, la quale va a tracciare un grande spazio libero verso l’infinito. L’orizzonte, nella sua completa osservazione corrisponde a una linea orizzontale, o al piano come base di sostegno, fra terra e mare e la vastità del cielo, ma non solo, anche quando nell’immaginazione umana la sua raffigurazione può entrarci l’anima oltre che l’occhio verso altri momenti di riflessione come chiave di lettura per riuscire ad andare al di là dello spazio e del tempo.         

   Nel rito del disegno, della pittura e della fotografia la linea dell’orizzonte è un elemento visivo laddove la sua rappresentazione deve essere vista in modo automatico ed istintivo dal suo punto di inizio fino alla fine, ma anche al di là dove può esserci l’immaginario verso l’infinito, e, metaforicamente, quindi in una trasposizione simbolica, ci si può arrivare dall’altra parte e dunque in questo stato di riflessione si ha bisogno di un tempo più lungo, come imparare a vedere oltre, a sentire, ad ascoltare il ritorno di certe impressioni. L’occhio, comunque, si sposterà di nuovo e di nuovo ancora verso il flusso suggerito dalla linea in quanto principio dell’elemento compositivo, quindi oltre a guidare l’occhio attraverso la scena la linea agisce da grande forza coesiva collegando da un capo all’altro una forma con l’altra al di sopra e al di sotto. Nella teoria del “campo”, inteso come superficie, intendiamo la superficie il piano di fondo destinato a ricevere il contenuto dell’opera e le linee sono fra gli elementi compositivi più potenti che si hanno a disposizione e la linea orizzontale, una forma di retta sola, e non è un punto, è una vastità, dunque non ci si può accontentarsi di essa e lì sta la sua rappresentazione che sottolinea l’infinito dove la parola infinito ha otto lettere e l’otto messo in orizzontale forma l’infinito dove ci si può passare sopra infinite volte, ma anche la possibilità di potere viaggiare oltre.

   Vasilij Kandinskij nel suo trattato del 1926, “Punto linea superficie”, scriveva: la linea geometrica è un ente invisibile, essa è la traccia lasciata dal punto in movimento, quindi il suo prodotto. Essa è sorta dal movimento, e precisamente attraverso l’annientamento della quiete suprema in sé conchiusa del punto. Qui ha luogo il salto della staticità al dinamismo. La linea costituisce dunque la massima opposizione all’elemento pittorico primigenio, il punto. Per dirla alla Paul Klee, una linea è un punto che è andato a fare una passeggiata. In senso stretto la linea può essere designata come un elemento secondario. Le forze provenienti dall’esterno che trasformano il punto in linea possono essere assai varie, dove la varietà delle linee dipende dal numero di queste forze e dalle loro combinazioni. In definitiva, però, tutte le forme di linee possono essere ricondotte a due casi: applicazione di una forza e applicazione di due forze.

   In questa combinazione strutturale, la quale costituisce la base dell’opera, “la corda è il disegno”. La linea prodotta non deriva da un punto ma da una tensione, anzi da due tensioni come due punti di forza ai due lati, quindi una corda tesa sulla superficie che non ha una successione di punti ma è lei stessa il corpo di una linea che traccia un percorso rettilineo su un campo quadrato, dove in esso si ha la forma geometrica più stabile, il quale quadrato ha nelle due coppie di linee delimitanti la tela la stessa forza di possessione, di equilibrio e la stessa dinamicità. La tensione è la forza interna dell’elemento corda, la quale è di stessa misura dei lati ed essa è solo una parte del movimento creativo in essere.

   Nella seconda azione interpretativa “il resto è colore”. La direzione del colore viene anch’esso determinato dal movimento orizzontale dove gli elementi della pittura sono la risultanza reale dal movimento, non da un pennello, ma dalla rotazione di un rullo e precisamente nella sua compressione; una forza esercitata con ritmi diversi secondo i casi e secondo i colori scelti nella direzione destra sinistra e sinistra destra per dare espansione al colore, più o meno denso, fin tanto che si decida di fermarsi. Il disegno è sempre uguale, i colori cambiano di volta in volta secondo gli umori dettati dal momento in una sorta di libertà creativa e emotiva, quindi si passa dai colori caldi a quelli freddi, a volta violenti a volta appena accennati in stesure sempre orizzontali in tal modo da accompagnare sempre la linea orizzontale. Poi il confronto con il colore bianco e il colore nero. Il bianco e il nero, definiti anche come non colori, stesi in uniformità a campo pieno in una operazione complicata per il semplice fatto che si riparte dal punto zero in pittura, come considerava Malevich, dove egli sostiene il raggiungimento dello zero in pittura, nello zero delle forme e al di là dello zero verso il suprematismo, verso la considerazione non-oggettiva, dunque l’essenza della pittura stessa, un punto di partenza per un seguito imprevedibile di un fine ed un inizio su una linea retta immaginaria che si allontana verso l’infinito della mimesi.

   Questi due colori, colori non vivi, colori muti, dove il loro suono è ridotto al minimo pari al silenzio, o quiete, o bisbiglio, con temperature diverse dove il bianco è caldo e il nero è freddo, dove la luce è nel bianco e il buio è nel nero sono attraversati, in queste opere da una linea retta non immaginaria, anzi prominente che marca il salto, la quale sporge in rilievo rispetto al piano dando risalto rispetto al fondo in un manufatto esistente. In teoria la rappresentazione della linea d’orizzonte viene compresa in orizzonte alto, dove troviamo pesantezza, intimità, materialismo, in orizzonte centrato che dà staticità, quiete e tranquillità, ed infine nell’orizzonte basso dove si ha leggerezza, vastità e incorporeità. L’espressività di un artista, oltre la sua, può dare altre e diverse motivazioni di lettura al fruitore, e quindi anche l’osservazione di una semplice linea orizzontale può darci diverse interpretazioni fra il figurativo e il concettuale. Possiamo vedere nelle tantissime opere sul tema dell’orizzonte visioni figurative di marine o di pianure di genere classico, impressionista, espressionista, astratto, informale e concettuale, dove in questa ultima espressione  possiamo avere un’altra ipotesi che la linea orizzontale diventa la tensione di una corda, un passaggio in sospensione con un senso di vuoto al di sotto come potrebbe, ed essa sarebbe in grado e avrebbe la capacità, anche essere l’attrezzo di base del sostegno di un ipotetico funambolo che attraversa in equilibrio da una parte all’altra il filo dell’arte.

                                                                                                                                         Gianni Gallian  

Fotografia di Teresa Beatrice  © 2018

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